Nel Museo della Badia di Vaiano, in occasione delle manifestazioni di Amico Museo 2012 (“Musei in un mondo che cambia. Nuove sfide, nuove ispirazioni”), l’annuale campagna di promozione museale della Regione Toscana, si tiene la mostra: In…canti cosmici. Mostra personale di Gianfranco Zazzeroni. La mostra espone una scelta delle opere del pittore abruzzese e si tiene in occasione del ventennale della prima esposizione del Museo della Badia. L’inaugurazione della mostra è prevista nel Museo della Badia domenica 6 maggio alle ore 11:00. Saranno presenti l’artista Zazzeroni, il coordinatore del Museo della Badia Adriano Rigoli, il sindaco di Vaiano Annalisa Marchi e il parroco della Badia di Vaiano don Carlo Bergamaschi. A tutti gli intervenuti sarà offerto un aperitivo per festeggiare l’apertura al pubblico della mostra e il ventesimo anniversario della prima apertura del Museo della Badia.
La mostra, che ha il patrocinio di Regione Toscana-Amico Museo, del Comune di Vaiano e dell’Associazione Nazionale Case della Memoria, resterà aperta fino al 17 giugno 2012, secondo l’orario di apertura del museo (sabato ore 16:00-19:00/domenica 10:00-12:00/16:00-19:00). Sono possibili visite guidate e aperture “fuori orario” prenotandosi all’indirizzo mail assopromuseo@libero.it e al telefono 328 6938733.
il titolo della esposizione delle opere del pittore abruzzese Gianfranco Zazzeroni nel Museo della Badia di Vaiano (PO). Come ricorda il curatore Adriano Rigoli “Attraverso le sue opere, l’artista ci prende per mano e ci conduce attraverso un percorso intimo, che parte dallo spirito interiore fino alla contemplazione della Natura e dell’Universo”. Motivo di grande interesse “è il dialogo che si instaura tra le opere di Gianfranco Zazzeroni con le opere di arte antica e di arte sacra del Museo della Badia. Opere rinascimentali e barocche, pitture, sculture, tessuti preziosi e argenterie ecclesiastiche, reperti archeologici si confrontano con i dipinti e le opere grafiche contemporanee. Differenti sono le modalità della narrazione, comune è la ricerca degli stilemi più adatti per comunicare la sacralità della vita e la propria dimensione metafisica”. Nel testo critico del dépliant che sarà distribuito ai visitatori in occasione della mostra si definisce il percorso dell’artista abruzzese: “Gianfranco Zazzeroni è un artista autentico, completo. È pittore, incisore, grafico. Nell’arte odierna, in cui spesso l’ispirazione, l’idea non sono adeguatamente supportati da una adeguata sapienza del “fare arte” e del “fare ad arte”, Gianfranco si distingue per l’uso sicuro di tutta una varia gamma di tecniche: olio e acrilico su tela, tecniche miste, spatola su carta, monotipo, matita, acquarello, acquaforte-acquatinta, puntasecca. Fuori da ogni formalismo compositivo, e lontano dalle facili seduzioni della cultura accademica, il suo lavoro oscilla tra consapevolezza allegorica e inganno reale. È lo specchio invisibile dell’anima per una realtà visibile che man mano invade spazi vuoti diventando corpo, colore, luce. La luce è intensa. Il colore è rappresentativo, decisamente espressivo e brillante. Invade la realtà con densi rivoli. Partito da accenti diversi e da attente riflessioni su situazioni artistiche che si accavallano oggi nel panorama della pittura italiana, Zazzeroni irrompe sulla scena dell’arte con una sua geografia pittorica costruita su un “solido” astrattismo”. La conclusione è affidata alle parole di papa Benedetto XVI che si attagliano perfettamente alla ricerca artistica del pittore Gianfranco Zazzeroni: “Un opera d’arte è frutto della capacità creativa dell’essere umano, che si interroga davanti alla realtà visibile, cerca di scoprirne il senso profondo e di comunicarlo attraverso il linguaggio delle forme, dei colori, dei suoni. L’arte è capace di esprimere e rendere visibile il bisogno dell’uomo di andare oltre ciò che si vede, manifesta la sete e la ricerca dell’infinito. Anzi, è come una porta aperta verso l’infinito, verso una bellezza e una verità che vanno al di là del quotidiano. E un’opera d’arte può aprire gli occhi della mente e del cuore, sospingendoci verso l’alto”. Queste parole che vanno alla radice dell’arte di ogni tempo non sono state pronunciate da qualche critico à la page, ma costituiscono la riflessione di un grande uomo del presente, uno studioso attento, un protagonista della nostra storia: papa Benedetto XVI (Udienza Generale, 31 agosto 2011).
di Bruno Paglialonga
Nel suo vario esplicarsi ed incessante divenire, la pittura creativa, in senso estensivo, ha la finalità di veicolare contenuti, valori, messaggi universali (la comunicazione) a beneficio della società umana e dei potenziali fruitori empaticamente partecipi.
Ne ha piena contezza Gianfranco Zazzeroni, persona d’indole pacata e mite, artista esuberante d’ingegno, meditativo. La sua produzione matura, permeata di apprezzabili peculiarità, si distingue nell’eterogeneo panorama corrente: ricca di spunti, pregnante, sapiente, specchio della particolare dimensione sensibile, essa non ha fin qui richiamato epigoni, evidentemente perché è sottesa di insolita, eccentrica, sui generis ricerca, di impegnativa sperimentazione senza fine.
L’autore, urbinate d’origine, formatosi alla cultura delle belle arti di tradizione antica e a quella della grafica moderna (di questa seconda ha esercitato il magistero per quarant’anni presso le scuole statali), coltiva legittime ambizioni ed aspirazioni e, attingendo dalla propria soggettività, dalla fonte delle personali motivazioni e suggestioni, si propone di dar vita e divulgazione a raffigurazioni complesse d’una oggettività secondo i casi ambigua, allusiva, arcana, sibillina. Vivaddio se l’ambiguo nelle arti è vitale!
La pittura, come si sa, è “figura di pensiero”. E il pensiero di Zazzeroni si manifesta lineare e diretto, coerente, scevro da orpelli, pronto a considerare questioni contingenti, esistenziali, spirituali. A volerlo appena osservare nella fase inventiva, seguirlo dentro il vortice delle sensazioni e delle emergenze emozionali, si può d’acchito supporre costituito di sostrato di tipo astratto, ossia non dispiegato ad elaborare sul piano estetico proposizioni logico-razionali, né pretenziosi azzardi scientifici. Peraltro è plausibile che ammetta influssi onirici (vedere, per esempio: Prigioniero del sogno, 2008; L’isola dei sogni, 2008; Il sogno come incantesimo della vita, 2009; Frammenti di un arcobaleno notturno, 2011; Il castello dei sogni, 2014; La foresta dei sogni, 2016). Nondimeno, vi si ravvisano, quali rassicuranti punti di forza, il fattore simbolico e quello metaforico, dialoganti, asserviti alla concreta narrazione o all’esposizione dell’idea figurale (Il flusso della vita, 2015; L’isola che è dentro di noi, 2008; Il fuoco dell’amore, 2014; La speranza oltre il dolore, 2014; Il magma della vita, 2009). A denotarne la poetica, in contesti unici o plurimi, in effetti coesistono l’aspetto astratto-aniconico e il realistico, i cui antitetici linguaggi corrispondono ad opposti modi dell’espressione.
In tutti i casi, la simbiosi tra forma e colore dell’immagine, nel continuo loro cangiare, dà il segno distintivo dell’autore urbinate: non naturalistico, seppur evocativo d’ambienti, paesaggi, metamorfosi, situazioni di questo mondo, sognati, vagheggiati o utopici; segno che rifugge da rapporti armonici, che non esige in assoluto andamenti geometrizzanti (La mia luna, 2015; Il gioco delle nuvole, 2016; Il colore della fantasia, 2016; La mia foresta, 2016). E ancora: segno privo della componente semantica, o della portata nozionistica, ancorché alcune opere ne palesino l’accezione comune e nota (La madre terra, 2014; Il fiore nel bosco incantato, 2008).
Il nostro talentoso e valente artefice sa dimensionare, calibrare e armonizzare ad hoc i componenti fondamentali – forma, colore, configurazione – liberamente e senza preferenza alcuna, ma secondo il carattere della rappresentazione meditata o del tema assunto. Un’interazione stridente, o addirittura conflittuale, che ne può derivare è parimenti dominio e pregio progettuale. Solitamente la materia cromatica, presenza egemonica indiscutibile, espressionistica ed insieme lirica, talora prorompente talaltra impalpabile, quasi eterea, distribuita sul supporto (tela, carta, tavola) con volitivo piglio per mezzo dell’olio, del medium acrilico, dell’acquerello, del monotipo o delle tecniche miste a campiture, tramite il gesto breve e contratto o perentorio, spatolato e vigoroso (Presenze, 1970; Quelli che vanno, 1970; Bolero – Ravel, 2007), a macchie e grumi dripping o informali, procura vitalità e aggiunge vivacità (Studio per un ritratto, 1972; Ricerca d’immagine, 2007; Segno di terra, 2007).
La traccia tipicamente grafica, che serve a delineare, profitta molto d’altre tracce di differente fattura, si associa inusualmente al tratto-solco di natura tecnica incisoria qual è la “puntasecca” (Zazzeroni è un esperto incisore) che sulla superficie cartacea regge in qualche misura, invigorisce ed esalta la colorazione “à la poupée”, generatrice di ulteriori inattesi esiti (Voli pindarici, 2008; Il fiore della passione, 2008; Assolo per violino, 2008; Orchidea, 2008). Vale ricordare, a proposito della commistione delle tecniche, Henri Focillon, nel cui saggio “Vie des formes” si schierava in favore del pluralismo pratico-strumentale e stilistico.
Michel Tapié, teorizzatore dell’“art autre”, asseriva che l’ignoto è incommensurabile, terra di nessuno incorruttibile, dove ciascuno può esercitare le proprie possibilità, lasciar fluire i propri impulsi vitali e così rapportarsi con gli altri.
In questo territorio indeterminato Zazzeroni si muove, convinto che lo spazio dell’opera debba mancare – e manca – della netta scansione dei piani prospettici; tuttalpiù su almeno due soltanto di questi egli fa giacere gli autonomi, assai dinamici, schemi strutturali, sovrapposti in ordine gerarchico d’importanza, di preponderanza, ovvero di contrappunto, diaframmi riconoscibili anche per via d’opposizione (colori forti e colori delicati) o complementarità coloristica (La mattanza, 2011; La via verso la pace, 2015). Il “campo” estetico, limite e contorno della forma colorata, è mutevole: precario, instabile, fluttuante, oscillante, talvolta non circoscrivibile. Né mai l’artista si è cristallizzato in sterile “cifra stilistica” nel vasto suo repertorio antologico pittorico ed incisorio.
Anche per Zazzeroni, maestro nelle arti visive, tutto è verità che promana dalla mente e dal cuore, ma tutto è finzione in relazione alla realtà esterna; di questa, l’alterazione, la trasfigurazione, il travisamento, lo straniamento sono paradossi in quanto omologhi dell’“imago” che abita l’interiorità, sono determinazioni percettive di guizzi psichici, e finanche labili epifanie dell’intima ineffabilità. L’inconscio è lo stato di grazia, l’ideale condizione per il nostro fecondo artista di restar fuori, finché possibile, dalla razionalità e dall’osservazione realistica nel principiare e fissare figure trasognate e significazioni sempre nuove, autentiche e sincere. Salvo che recuperare via via la piena coscienza operativa e poterle marcare di fisicità, ovvero suggerirle sciolte, diafane, incorporee.
Nel procedere di Gianfranco Zazzeroni, pare latente l’automatismo ideativo ed esecutivo di storicizzata memoria surrealista; più probabile la dosata gestualità d’occorrenza, una sorta di stenografia dell’intuizione immediata (Il caos si dissolve, 2014). D’altronde, Pierre Soulages sosteneva che “dipingere precede sempre la riflessione” là dove l’atto della pittura non è arbitrario e dove il diverso livello d’incoscienza è comunque coscienza di un’estetica in fieri: coscienza della tecnica, se non altro, che dà il necessario assetto alla forma balenata d’incanto, mai meramente decorativa, e slancio espressivo al sentimento.
L’artista si è a lungo interessato – e lo è tuttora – ai motivi della seduzione amorosa, dell’introspezione, di quelli concreti e cruciali che attengono alla vita terrena e, ancor più, al trascendente, alla cosmogonia. Esemplificando, s’incontrano molti titoli: Esplosione cosmica, 2002; La creazione, 2007; L’universo, 2008; L’incontro dei due mondi, 2009; Germinazione della vita, 2009; Genesi, 2014; I colori dell’anima, 2014; Frate Focu: Fiamma, Amore, Luce, 2014; Sia la luce, 2014; Verso il cielo, 2014; Angélus arbór vitae, 2015.
Da quanto sinora esposto si può ricavare l’adamantino ritratto morale e la ragguardevole levatura artistica d’un personaggio contemporaneo, qual è Gianfranco Zazzeroni, in grado mediante i suoi talenti di toccare senza sforzi apparenti un così ampio ventaglio di tematiche importanti e di rendere l’esercizio pittorico e grafico il viatico sicuro per sublimare l’immagine del proprio pensiero profondo.
di Leo Strozzieri
Davvero interessante e per me sorprendente la mostra personale di Gianfranco Zazzeroni che sarà inaugurata oggi pomeriggio alle ore 18 al Museo delle Genti d’Abruzzo in via delle Caserme a Pescara, presentata dalla giovane ma già affermata critica d’arte.
Chiara Strozzieri che titola il suo saggio introduttivo all’elegante catalogo in distribuzione gratuita ai visitatori “Apologia delle implicazioni cromatiche”, a significare che per l’artista il colore è tutto. Dicevo mostra sorprendente, perché essendo io interessato per motivi di studio alla ricerca artistica abruzzese contemporanea, non immaginavo potesse esserci un autore di così alto profilo, pressoché sconosciuto al grosso pubblico ed in parte anche dalla critica. In realtà, specialmente nel campo della grafica, settore nel quale purtroppo l’Abruzzo non ha una consolidata tradizione, se si eccettuano alcuni casi come Nicola Galante, Giulia Napoleone, Gabriella Albertini, Massimo Di Febo o lo xilografo Vito Giovannelli, Zazzeroni è da considerare autorità somma. Molto penso abbia influito la sua origine marchigiana perché sappiamo tutti essere le Marche culla delle tecniche incisorie.
Nato in Urbino nel 1945, egli risiede da anni a Montesilvano. È stato docente nell’Istituto d’Arte di Pescara. Si è formato alla Scuola del Libro della sua città natale, per poi conseguire l’abilitazione all’insegnamento della grafica pubblicitaria, della fotografia e della stampa. Oltre che all’Istituto d’Arte di Pescara, ha insegnato in quello di Ascoli Piceno e all’IFTS (Istruzione e Formazione Tecnica Superiore) nel corso di stampa editoriale ed artistica. Per l’occasione ha pubblicato il quaderno Progettazione editoriale. Questo interesse gli ha permesso di collaborare attivamente con associazioni culturali di notevole livello, come quella di Pescara che porta il nome di Ennio Flaiano. Zazzeroni, come detto, è anche un eccellente grafico avendo eseguito diverse opere con la tecnica dell’acquaforte e dell’acquatinta. Partecipa dagli anni ‘70 a diverse mostre nazionali ed internazionali. Sue opere sono state acquisite dal Museo internazionale MAIL ART dell’aquila, dalla Pinacoteca Francescana di Falconara Marittima e dalla Pinacoteca “Corrado Gizzi” di Guglionesi (CB). Nel 2007 è stato invitato alla XXXI edizione del Premio “Emigrazione” a Pratola Peligna.
Tornando alla mostra pescarese c’è da dire che sul piano strettamente pittorico, l’artista riesce a coniugare brillantemente tradizione e modernità. Se infatti nei suoi dipinti mai viene meno l’equilibrio della composizione ed il respiro umanistico del pensiero ad essa sottintesa, l’esclamata simpatia per l’espressionismo astratto e la poetica informale indicano la sua adesione alla contemporaneità. A questo proposito Chiara Strozzieri nel suo lucido saggio introduttivo al catalogo parla di una vicinanza di Zazzeroni a De Kooning. “Ciò che lo accomuna a De Kooning, scrive, è la ricerca di punti fermi nel caotico magma cromatico, la scelta di nuovi rapporti di equilibrio tra le parti, che creano un certo ritmo e soprattutto danno armonia all’insieme”. A giudizio della critica il maestro urbinate molto deve anche all’astrattismo di Paul Klee, essendo espliciti alcuni riferimenti al grande pittore svizzero per cui “l’arte non riproduce il visibile, ma rende visibile”. Nell’esposizione, accanto ad opere informali, si propone tutta una serie di lavori sul tema della figura umana: un saggio probante della sua perizia disegnativa incentrata sulla sintesi grafica e sull’analisi psicologica del personaggio raffigurato. Che dire? Una mostra di un maestro autentico, a cui va fatto il rimprovero di essere rimasto troppo a lungo eremita nel suo studio. Finalmente oggi dà l’opportunità agli addetti ai lavori, come il sottoscritto di annoverarlo tra le figure di rilievo dell’arte abruzzese contemporanea.
di Maria Cristina Ricciardi
La nozione di arte come strumento di comunicazione visiva, vive nella pittura di Gianfranco Zazzeroni attraverso la poetica del segno, protagonista di un codice espressivo che, erede di una cultura internazionale affermata nell’immediato dopoguerra dall’ Informale, svincola il postulato artistico da ogni obbligo rappresentativo.
“ La realtà ci circonda, siamo anche noi realtà” amava affermare, alla metà degli anni Cinquanta, Giuseppe Santomaso, uno dei grandi protagonisti dell’Informale italiano. E la realtà per Zazzeroni non è certo il campo visivo del dato retinico, ma quello della sua elaborazione mentale che si manifesta principalmente attraverso segni e colori, significativi testimoni di una consapevolezza artistica solo apparentemente casuale e veloce, in realtà piena di grande equilibrio compositivo, pur sempre votata ad una libertaria esigenza esplorativa.
Quanto alle radici di questa spinta che interagisce con pulsioni emotive ricche di slanci, esse andrebbero rintracciate, oltre che nel lessico informale, tanto incentrato sulle valenze della triade segno-gestualità-materia, anche nell’importante e complessa esperienza dell’artista nel campo della calcografia e mi riferisco soprattutto a quell’ arte paziente, sapiente e complessa dell’incisione in cavo, dove il segno è un atto costitutivo di precisione e di possibilità espressiva.
Ogni dipinto di Zazzeroni vale dunque come affermazione di un personale bilanciamento tra l’ organicità grafica e compositiva, espressa dall’atto del dipingere, e la sua natura di intensa partecipazione alla vita, identificazione panica di una totalità fisica e psichica. Così la sua arte, affrancata dall’impegno figurale, lascia esplodere tutta l’incidenza del dato personale colto nel suo compiersi, del suo strutturarsi di pensiero, fermato all’estremo della sua immedesimazione con il presente. Ed ecco, dunque, il senso di un organismo pittorico, in cui sicuramente divorante risulta la forza esplosiva del colore, che si connota, in un unico tempo, sia come pasta cromatica sia come accensione incandescente. La sua pittura è un trionfo di materia e luce, che conduce a continue metamorfosi, tra epifanie di bagliori cosmici e paesaggi mentali di magmi incandescenti: traiettorie vitali e dinamiche di infinite particelle in movimento, che si concretizzano nella sua arte in ciò che per Zazzeroni costituisce il punto cardine del proprio impegno: trasferire sulla tela tutta l’energia dello spazio reale, codificandola in energia pittorica e cioè in una pittura che sia soprattutto “fatto concreto”, condizione autentica e palpitante, polpa viva.
Noi siamo dunque quella realtà che non è fuori dai nostri occhi ma dentro di noi, ci insegna l’artista. In tal senso la sua esperienza è anche indagine sulle possibilità esplorative offerte dal fare pittorico, un viaggio umano che nelle trame grafiche e nelle pulsazioni cromatiche, nelle zone di ombra e di luce, lascia libera la sua impronta di esistenza in atto, intima e vibrante, pronta ad immergersi nella profondità del proprio essere, per poi riemergere e appuntarsi in un bagliore o scomparire di nuovo.
E questo è un gioco che non è gioco, perché non è artificio, ma orientamento pittorico volto alla continua sperimentazione, poesia visiva, di vitalistica e febbrile inventiva, in cui il rapporto con la realtà torna a farsi espressione autentica di una situazione umana colta nel suo concreto manifestarsi.
di Chiara Strozzieri
Storicamente privilegiata per la sua duplice natura di tecnica duttile e rigorosa insieme, oggi l’incisione è piuttosto la più sintetica rappresentazione del sé di un artista, strumento ideale di autocoscienza. Sebbene i criteri che la governano sembrino ridursi a passaggi fissi e ripetitivi, che in qualche modo accomunano i linguaggi stilistici e dominano i balzi creativi, Gianfranco Zazzeroni trova indizi di libertà giusto attraverso l’estraniamento dalla rigidità metodica e l’istintiva, illogica gestualità.
Non è un caso che tra le tecniche egli prediliga la puntasecca, utile solamente per le piccole tirature: le incisioni su matrice di metallo infatti, escludendo l’uso dell’acido, si affidano a filamenti rialzati che trattengono l’inchiostro, ma che si distruggono rapidamente sotto la pressione del torchio. Questo permette all’autore di vincere su un’arte che non ammette ripensamenti, dandosi la possibilità di svariati motivi iconografici. Non solo, perché servendosi di un processo molto delicato, conferisce al foglio un’eleganza pregiata, fatta di segni soffusi e tratti irregolari nella direzione, specialmente nelle tirature uniche.
Ricorre l’immagine del silenzio, in qualche modo rotto dal suono o dalla voce dell’uomo, a volte semplicemente evocato, come nell’opera Nelle profondità marine, dove un gioco di pieni e di vuoti riproduce l’atmosfera ovattata percepibile sul fondo del mare. L’immersione nel segno è più forte di un bagno di colore e la luce torna ad essere assoluta protagonista, apparendo granulosa sotto le stesure di acquatinta e accecante nel bianco intatto della carta stampata.
Quando le tinte riappaiono, la loro timbrica è certamente delicata e si può parlare di legame con il colore musicale, quello che bisogna abituare prima l’orecchio e poi l’occhio a percepire. In Assolo per violino l’artista esegue un brano musicale scomposto e ardito nelle linee spezzate e negli aloni nerastri e confusi, per poi lasciare la forma vibrare di un serico vermiglio e il suono librarsi in aria con essa.
L’indagine sul colore non elude il binomio bianco/nero, anzi scava profondamente nella sua natura, rovesciandone le attribuzioni di senso: se normalmente il nero dà corpo all’incisione, nell’opera di Zazzeroni è il bianco a farla da padrona, creando soprattutto riferimenti a elementi naturali. Il fiore nel bosco incantato, L’isola del pensiero, L’innocenza tra i rovi: in questi alti esempi dell’impulso creativo dell’autore si chiariscono più che mai le sue intenzioni stilistiche. Egli, piuttosto che aspirare a un risultato formale, utilizza l’incisione per creare un contatto con le forze vitali, attivando una sorta di rito ancestrale, un’evocazione della natura che molto ha a che fare con il ritrovamento delle basi di una conoscenza condivisa e il distacco dalla proiezione dei sogni.
In questo modo l’incisore è l’uomo primordiale che solca la materia coi suoi disegni, vincendo il caos con l’eternità della sua testimonianza. È un atto che ci riporta alle origini e al legame profondo con la terra, che ci sfida con le sue soluzioni moderne e mette in moto una transizione tra passato, presente e futuro, fissando la ripetizione dei processi creativi.
Quanto rende quella di Gianfranco Zazzeroni un’arte senza tempo è una mobilitazione energetica, impiegata nell’incisione perché compressa in lui come nell’uomo fin dalla notte dei tempi. Il piacere è di palpare la carta straziata dalla lastra, sentire le nervature incresparsi sotto le dita, spingersi Alla ricerca della materia, come recita il titolo di un’opera. Qui la tecnica si rivolge a una poetica informale fatta di privazioni, piuttosto che di aggiunte, appuntando barlumi di luce emergenti da un campo rarefatto e asfissiante. L’esibizione dell’assenza della materia lascia la consapevolezza che effettivamente questa esista, oscurata da un pulviscolo più mentale che fisico. Dal bisogno di vederla si innesca una ricerca interiore, trasmessa effettivamente anche all’osservatore, che lascia spazio all’elaborazione di figure interiori e personalissime.
È questo l’ennesimo esempio di come l’artista, scalfendo il metallo, scalfisca anche l’anima di chi ne ammira gli accordi, scomponendo la morbidezza del segno incisorio per una propria, creativa assoluzione.
di Anita Valentini
Non capita spesso, in questi tempi, di vedere proposte artistiche “portatrici sane” di storia, dipinti e carte che parlano di una dimensione estetica, basata, come per le più potenti avanguardie storiche, sul colore e sull’energia dinamica dei segni.
Colore innanzitutto, espressione di un mondo interiore, quello di Gianfranco Zazzeroni, legato a sensazioni e sentimenti personali, ad un diario intimo di riflessione sul proprio io. In tutte le opere del pittore si incontrano colori forti, vivaci, le tinte della gioia di vivere, della speranza, della positività, riprese e rivisitate più e più volte, a descrivere un percorso costituito da diverse tappe, in cui, dopo una sosta meditativa, egli riparte verso nuove mete. Ed anche per contrasto – così è la vita ! – i colori cupi, freddi, il non colore nero perché, comunque sia, il male incombe sempre su di noi e in noi, che dobbiamo contrastarlo una volta riconosciuto.
La ricerca ci porta attraverso pulsioni turbinanti, accelerazioni che poi rallentano, si ricompongono in un progressivo ordine ed, infine, assumono nuovamente densità e spessore, come flussi affettivi, allusivi di proiezioni interiori. La spazialità, se considerata nel senso rinascimentale del termine, è azzerata, poiché è intesa dall’artista come elemento di fuoriuscita, di coinvolgimento, di partecipazione verso l’esterno. Le pennellate organiche sono pulsioni vitali che scardinano, frantumano e avvolgono, in un processo che parte dalla soggettività, per suggerire l’oggettività.
Ecco che compaiono forme sferiche, simboli interiori, trascrizioni di idee, motivi e linee guida che vengono esaltati attraverso il moto. Si può affermare che la pittura di Zazzeroni è “mentale”, dominata cioè dal motivo strutturale del simbolo-idea, sul quale si distinguono forme organiche appartenenti al mondo vegetale, elementi ispiratori di tante immagini. Nei dipinti e nelle carte vi è quasi una volontà di dominare la natura, poiché spesso troviamo effettive efflorescenze di materiali, quali olii, tecniche miste, acrilici e l’utilizzo della puntasecca stampata à la poupée, dell’acquaforte-acquatinta, della matita, aggiunti ad un intreccio di forme.
La consistenza della materia pittorica si mescola all’energia segnica, al tracciato violento ed esuberante che si addolcisce grazie ad una attenta ricerca delle cromie. Tutto è minuziosamente calcolato, disposto ritmicamente per ottenere un’armonia globale, un ordine intrinseco, sintomatico di una personalità adamantina che riesce a dare una logica all’esplosione di percezioni e di sentimenti interiori. Si esprime così un dualismo di scelte, da un lato il controllo razionale della tecnica, dall’altro la spontaneità dei messaggi, energici, vitali, emozionali. In bilico fra Vasilij Kandinskij e Jackson Pollock suoi numi tutelari.
Ma Zazzeroni non vuole imitare i grandi del passato né tantomeno “andare alla guerra”. Anche se spara certe pennellate di colore che sembrano sciabolate. Non chiedetevi però il “messaggio” dei suoi fendenti – è poi obbligatorio averne uno? – che se c’è … è sussurrato; a null’altro essi si apparentano se non con l’intima dirittura d’animo, aliena da spigoli, angoli o curve. Anche nei formati piccoli.
Nessun recondito significato, dunque, ma è certo che da essi ci si sente pungolati ed aizzati: in buona sostanza eccitano ed esaltano e spingono in cerca di pronto sostegno nel colore, sempre vivo, per grazia ricevuta, vivido onnipresente e dominante.
Per fortuna il colore è calmieratore assoluto, nella sua protagonista sicurezza, d’ogni rovello. I dipinti dell’artista prediligono – nella già accennata virtuosità esaltante del colore – i clamori di vulcaniche esplosioni, di maremoti tropicali e poi i silenzi fatti di veglie, di meditazioni e di spirituale concentrazione. Come in ascolto di una musica. Come in ascolto della Sinfonia dal Nuovo Mondo di Dvořák.
L’avventura dentro il colore è connaturata ed antica, perché Zazzeroni dipinge praticamente dall’infanzia, battendo i ritmi della pittura vecchia amica dell’uomo sin dai suoi primordi, e in questo suo personale itinerario, silenzioso ed urlante insieme, essa si pone alla particolare attenzione per un suo straordinario dire e non dire che incanta e affascina. Noi non sappiamo cosa significhino esattamente queste linee e queste sapienti macchie di colore, né lo vogliamo sapere. Accontentiamoci di quest’armonia di purissimi toni governati entro linee vigorose che accendono il gusto e la fantasia. E ci accostano, questo sì che è fare pittura, al grande incantato sogno dell’arte.
Il percorso è articolato a testimoniare una sperimentazione in atto, compiuta sui mezzi espressivi e sui motivi, senza tralasciare i materiali; infatti, compaiono lavori con olii, acrilici e acquerelli, sovrapposizioni di materiali, affermazioni del proprio io in comunicazione tramite il coraggio nell’operare determinate scelte, sia attraverso un medium importante quale il colore accompagnato da elementi inconsueti, sia attraverso forme che si propongono alternativamente nell’aspetto più segnico o più geometrico. Nulla comunque è lasciato al caso, al contrario, è calcolato e minuziosamente controllato, sintomo di una personalità artistica forte e definita, estremamente positiva nel suo ricercare.
La sua pittura possiede una tensione “geologica”, ristruttura in un ordine interno e primordiale l’inquietudine dell’anima, che, angosciata da anni di silenzio, esplode e carica gli strati di pittura di un’alta tensione elettrica tale da trasportare dalla terra al cielo lampi luminosissimi che niente hanno dell’improvvisazione casuale. Questa luce intensa che ci abbacina si nutre dei colori dello spettro e si rapprende in sinfonie ultrasoniche di difficile percezione.
Il rettangolo e il quadrato di una tela divengono così lenti di ingrandimento puntate su una zona di osservazione di queste zone sotterranee della sua e della nostra anima. Egli non cede alla distrazione, non gli sfugge una pennellata, una spatolatura; prende il colore, lo “lega”, lo predispone a ricevere corrente, a trasformarla, a trasmetterla. Le sue opere avvengono in pochi attimi, ma si realizzano in molti giorni, sono un lampo di luce, un fotogramma veloce e ingrandito di un universo che qui lascia un campione della sua disposizione ritmica; sono un lancio verso un’energia inclemente che non concede debolezze, né sosta.
Gianfranco Zazzeroni è un uomo di fede, nel mondo e nel trascendente, dalla voce robusta nel colore e delicata nei messaggi, capace di esprimere con lo spettro dei colori e con la forza del segno tutta la gamma dei sentimenti… suoi, nostri… di tutti.